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ATM mia cara

All’ATM va dato il merito di non avere mezze misure: o ti fa piangere, o ti fa pelare dal ridere.

Oggi in una stazione della metropolitana:

“PLIN PLON, prova, stiamo effettuando prova di diffusione sonora.
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Sette
Otto
NO
*crack*

Amori Moderni

Due ragazze in metropolitana:

“(…) e allora gli ho detto che vado a Segrate a prendermi il biglietto e poi lo rivendo, perché con lui non ci voglio proprio andare!”

“Ma perché avete litigato?”

“Eh
Perché abbiamo litigato, abbiamo litigato perché…… boh vabbe’, comunque con lui non ci vado.”

Letture metropolitane

Adoro questa stagione: la stagione dei racconti da leggere in metropolitana.
Quando il juke-box di Subway si riempre di libriccini io sono tutta contenta, al punto da voler condividere la mia gioia con tutti voi sfortunati che avete le automobili o che vi spostate con i mezzi di superficie o che state in una città senza Subway.

I racconti di quest’anno (e di tutti gli anni passati) si trovano qui.

Enjoy.

RAP! (Tornando a casa #9)

Tre ragazzi, immagino che abbiano 15-16 anni, sono vestiti in modo favolosamente buffo perché cercano di darsi il tono di certi musicisti americani ma risultano delle involontarie caricature: jeans larghissimi e col cavallo tenuto all’altezza delle ginocchia lasciano scoperte ampie porzioni di tristi mutande di cotone da offerta ai grandi magazzini (6 paia 10 euro), strati sovrapposti di felpe li gonfiano come tre piccoli Bibendum e i tanti cappucci creano delle buffe gobbe, i giubbotti sono solo poco meno ridicoli dei berretti portati sulle 23, uno dei ragazzi ha anche ciocche di capelli piastrati che gli ricadono sulla faccia.

Appena raggiungono la banchina della metropolitana il piastrato dice “Dai Fra’, metti la base”, Fra’ spara una musica tunz-tunz dal telefonino che tiene in mano, e i tre si lanciano nell’improvvisazione di un rap in rima più o meno baciata col quale mi accompagneranno per tutto il tragitto.

Argomenti principali: il sesso con le tipe (ma quando mai ve la danno, ma vi siete visti?) e gli insulti alle rispettive madri, invariabilmente ma variamente definite prostitute. La produzione poetica è stata veramente notevole, purtroppo ricordo un solo verso

E tua madre è una mignotta / va al parco a fare la mignotta / con Thiago Motta

Il momento migliore è stato quando, mentre uno declamava con grande convinzione i suoi versi, l’altro a voce bassa gli diceva “Oh dai non urlare, ché disturbiamo”. Bravi bimbi teneri, questi rapper.

Giovani intellettuali urbani (Tornando a casa #8)

“Cioè, mentre tu cazzeggi studiando la tua termodinamica che non serve a un cazzo, c’è gente che fa cose. Cioè, tu adesso hai preso la metropolitana perché c’è qualcuno che ha costruito il mondo metropolitano. Che è una cosa che va al di là dello scibile. Che se non c’era, andavamo ancora in giro in tram”

Tornando a casa #7

Lui è giovane e su di giri, nonostante la carrozza sia piena si agita, si muove avanti e indietro, poi la chiama,

“Amore mio ciao!

Amore sono troppo intelligente, sono stato grandissimo oggi, mi hanno affidato il progetto più importante: ho reinventato la vendita del frigorifero”.

Che tenerezza, a volte perfino quelli che urlano i fatti loro al cellulare nel caos della metropolitana sono adorabili!

Auguri a lui, al suo Amore e al reinventato frigorifero.

Tornando a casa #3

In mezzo al caos della metropolitana stipata la ragazza legge un libro, assorta, concentrata.
Come segnalibro ha un post it, con scritto “Bella mia!!! Mannaggia a te!!!!!”.
È scritto con la penna nera, il tratto è deciso, la grafia maschile.
Passo il resto del viaggio a chiedermi chi abbia scritto quel biglietto per lei, dove lo abbia appiccicato, quale storia ci sia dietro, perché lei lo abbia conservato e lo porti con sé, ogni giorno.
Il tempo di arrivare al capolinea e ho già abbastanza storie da riempire un libro di racconti.
Quante vite in quel pezzetto di carta, bella mia, mannaggia a te.

Tornando a casa #2

Suppongo che mi si noti, con il trench color geranio e le scarpe dorate; perciò lui, magro, nervoso, i jeans troppo larghi, sale sulla metropolitana e subito si dirige verso di me, che sto leggendo il giornale.

Mi osserva per mezzo minuto, poi punta il dito sulla foto di un mostro in fondo alla pagina. “Che brutto, dice, che cos’è, uno zombi? È proprio brutto, eh? Mamma mia che brutto!”

Parliamo un po’ del mostro, ridiamo, si quieta.

Altro mezzo minuto e punta di nuovo il dito, questa volta sul titolo riguardante l’affaire tra due personaggi del mondo del gossip.

“Che schifo! Non le fa schifo?”.

È talmente impegnato a indicare i titoli che stacca le mani dai sostegni e alla prima frenata mi ruzzola addosso.

Io sono arrivata, scendo. Quante persone sole si incontrano, a Milano.