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I am not a number

Oggi fa caldo, viene proprio voglia di estate. Tolgo un po’ di ciliegie dalla loro vaschetta, voglio lavarle e mangiarle dopo pranzo.

Ma lei no, lei non vuole. Magari farà una fine orrenda, ma lo avrà deciso da sola, non si piegherà al volere e alla prepotenza di nessun altro.

E così, agile e furba, si aggancia con il picciolo alla plastica della vaschetta. Il punto di aggancio è calcolato in modo accurato perché il mio successivo movimento la faccia volare in aria e poi atterrare, con una parabola perfetta, nel sacchetto della carta da riciclare.
Ci si infila così bene da incastrarsi fra i vari strati di carta cartone cartoncino, e a trovarla ci metto un bel po’.

E’ ostinata, la ragazza, determinata a fare a modo suo. Penso che non la mangerò: mi farò erogare tutto un pomeriggio di coaching intensivo, e  poi la lascerò libera di fare la fine che desidera, che sia nel sacco della carta o altrove.

E domani andrò a parlare col mio capo.

Tears

There is a sacredness in tears. They are not the mark of weakness, but of power. They speak more eloquently than ten thousand tongues. They are messengers of overwhelming grief…and unspeakable love.

Washington Irving

Rapide

A Kymi, dove il fiume forma le rapide, l’acqua fa paura. Corre veloce, spruzza e infradicia chiunque si avvicini, spazza via tutto quel che incontra.

Eppure lì, proprio al centro del fiume, c’è un pino. Il tronco è dritto, per nulla piegato dalla violenza della corrente, che anzi è costretta ad arrendersi e si divide per passargli a fianco.

L’albero è alto, vecchio, a vederlo sembra che regni sul fiume da sempre.

Sono stata a Kymi in un momento difficile, in cui ero confusa, spaventata, incerta. Sono rimasta seduta a lungo su una pietra a lato del fiume, a fissare quel pino fino ad essere fradicia, e a cercare di imparare come essere così. Ci ripenso spesso.

A room of my own

Mezza giornata, tutta per me.

Lascio scorrere l'acqua, verso un bagnoschiuma profumato, mi tuffo. Un lungo bagno caldo, i capelli, le mani.
Mi concentro sui gesti, lascio scorrere la stanchezza, faccio il vuoto dentro.
Dopo lunghi giorni in balia degli altri, degli eventi, delle urgenze, degli obblighi, cerco me stessa sotto lo shampoo.
Giorni passati a correre, incastrare appuntamenti, sempre sul filo del rasoio, sempre oddio se la metro tarda non glie la faccio. E sempre energica, sorridente, inappuntabile. Per non deludere, per non far preoccupare, perché meno della perfezione non si può, perché gli errori non si perdonano.
E intanto mi chiedo se sotto la professionista, la figlia, la collega, la zia, l'amica, la sorella, la consigliera, l'infermiera, la cuoca, la colf, ci sia ancora un po' di me, persona.
Guardo le pile di libri non letti, di vestiti non stirati, di oggetti disordinati, e penso all'ordine che porto nelle vite degli altri incasinando la mia.
Mi aggrappo con le unghie alla mia domenica. Non ci sono per nessuno oggi – cioè sì, ci sono: per me.
Oggi riaccendo il mio computer, mi faccio bella, riordino la mia casa, sistemo le mie carte, leggo il mio libro, ascolto la mia musica.
Oggi vivo, per me.

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