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Coincidenze?

Mattino, ultimo colloquio con lo psicologo messo a disposizione dall’azienda nella speranza che non ci suicidiamo in massa.

Ripercorrendo tutto quel che ci siamo detti durante il percorso fatto insieme, e i risultati raggiunti (infatti ancora non mi sono ammazzata), lo psicologo ricorda che durante il primo incontro, quello durante il quale avevamo analizzato la mia situazione per decidere insieme su cosa concentrarci, io avevo detto che sempre più spesso sento la mancanza della possibilità di essere creativa e di esprimere liberamente la mia personalità.

Lui ritiene che si tratti di una faccenda molto seria e mi esorta a trovare lo spazio per scrivere, disegnare, arredare, o qualunque cosa sia quel che mi piace fare. Anche solo per pochi minuti al giorno, ma farlo, per carità (*)

Pomeriggio, riunione aziendale di team building.

Dopo essere stati deportati fuori città come si conviene per questi tipici riti tribali del capitalismo moderno (oddio moderno, boh, facciamo contemporaneo), scopriamo che la nostra prima missione sarà elaborare alcuni concetti in forma artistica, e nello specifico producendo in gruppo due quadri che rappresentino due diverse facce dei concetti medesimi.

Mentre il gruppo discuteva su cosa disegnare io mettevo giù dei bozzetti sul blocco per gli appunti. Visti i miei disegnini, i soci mi hanno chiesto di riportarli sulla tela; poi di preparare i colori; poi di dipingere le parti più complicate. Alla fine la grande idea, “qui manca qualcosa, ci vuole un leopardo delle nevi, lo sai fare il leopardo?”

Non so come, ma in 10 minuti ho prodotto un leopardo (anni di Snow Leopard dovevano per servire a qualcosa), e per giunta alla fine gli artisti (veri) chiamati a giudicare i lavori hanno decretato che la nostra opera era la migliore sia in termini di composizione che di esecuzione.

Tutto questo a secoli di distanza dall’ultima volta che avevo disegnato qualcosa, e infatti ero la più stupita di tutti. Ma soprattutto, mi sentivo BENE.


(*) Quindi se sto qui ad ammorbarvi nuovamente con le mie cazzate è solo colpa sua. Se volete picchiarlo vi capisco, ma non chiedetemi l’indirizzo.

«Le nozze gay sono solo una questione di tempo. La prossima generazione neppure si porrà il problema. Andrà così».

L’infinita tristezza di vivere in un Paese in cui 9/10 della politica si fanno superare sulla destra da Brad Pitt.

Il resto dell’intervista è qui.

Trascuratezza

Se ci fossero premi per i blog più trascurati dell’anno, questo sarebbe in gara.

Sono il genere di rompiscatole a cui piace raccontare i noiosi (per gli altri) fatti propri, ma sono anche una personcina educata che non vuole disturbare nessuno, e dunque questo blogghino mi corrisponde perfettamente: ci posso scrivere tutte le mie minchiate, poi però vengono a leggerle solo quelli a cui interessano, e nessuno si fa male.

Nonostante tutto questo, ultimamente passo poco di qua – passo poco dalla fisioterapia di cui ho tanto bisogno, passo poco da me stessa: sto conducendo una vita stupida, fagocitata dai problemi di lavoro, dai troppi viaggi, dai ritmi assurdi, e quando finalmente ho qualche ora libera mi accascio, catatonica, e impiego le poche energie disponibili per faccende di ordinaria sopravvivenza: la spesa, la casa, cose così.

Non va bene. Devo cercare il modo di aggiustare le cose, ma intanto, blogghino, che ne faccio di te? Ti lascio qui comatoso? Ti stacco definitivamente la spina?

Mi rendo conto mentre scrivo di non essere donna eroica da soluzioni drastiche, per cui farò così: invece di aspettare di avere il tempo per sedermi a scrivere Cose Sagge e Importanti, metterò qui delle spigolature della mia vita: le conversazioni che sento sui mezzi pubblici, le cose che leggo, i pensieri che mi vengono sulla vita e sulle persone e sui bicchieri di Martini. Saranno un po’ più lunghe e personali di un tweet, non saranno profonde e articolate, ma diranno comunque qualcosa di me. Fino a tempi migliori.

Mattatoio

Non starò a ripetere quel che penso della censura sui libri, ché a dire sempre le stesse cose si diventa noiosi.

Oggi ho letto questa infernale pazzia, e posso solo aggiungere che, fortunatamente, ora tutti i ragazzini di quella scuola avranno una gran voglia di leggersi il libro, e questa potenzialmente sarà una delle 10 migliori esperienze delle loro vita (della mia lo è stata di sicuro).

E per fortuna non ho figli, ché se finissero in una scuola come quella non risponderei di me.

A Dream of a Dream

Sono sulla metropolitana, e non so come ho fatto ad arrivarci.

Gli ultimi barlumi di coscienza li ho avuti verso le 11 del mattino, ed ero già stanchissima. Poi ancora lavoro, lavoro, lavoro, come se la salvezza dell’umanità dipendesse da quanto corro. E invece non solo non salvo nessuno, ma finisco per ritrovarmi in viaggio verso casa in orari assurdi e senza neanche sapere se troverò del cibo nel frigo.

Poi mi ricordo:

Let me ask you a question, you, you never really remember the beginning of a dream do you? You always wind up right in the middle of what’s going on.

Non mi ricordo come ci sono arrivata, dunque è un sogno. E adesso svegliatemi, ché ho voglia di divertirmi.

Due di picche

Conoscevo una ragazza, carina senza picchi di eccellenza, non particolarmente ben vestita, non particolarmente sexy; ma lei si sentiva molto figa, e dunque lo era.

Portava sempre una carta da gioco nel portafogli. Tutte le volte che un ragazzo le mostrava qualche interesse, lei civettava a morte: prima lo incoraggiava, poi si ritraeva, lanciava segnali ambigui. E quando finalmente il malcapitato si faceva avanti e la invitava a uscire, lei faceva un sorrisetto soddisfatto (e veramente odioso, se chiedete a me) e gli sbatteva sotto al naso il due di picche.

E qui viene il bello: non è mai capitato che uno di questi disgraziati la prendesse a schiaffi o la mandasse al diavolo, come avrebbe ampiamente meritato. Al contrario, facevano i brillanti, mostravano di prenderla con spirito, proseguivano la frequentazione come se niente fosse (anche se a invitarla fuori non ci provavano più).

Questo ha parecchio contribuito a demolire la mia speranza di incontrare, prima o poi, un Uomo.

E casomai non fosse chiaro, se qualcuno facesse il giochetto del due di picche con me gli caverei gli occhi a unghiate.

 

Usate la moda!

Vorrei dire alle donne di non avere paura della moda, di usare la moda”(Donatella Versace, 25.09.2010).

Gentile Donatella, ci tengo a chiarire che noi donne non abbiamo paura di niente, figuriamoci della moda.

Noi lavoriamo fuori casa, lavoriamo in casa, accudiamo uomini bambini animali, facciamo quadrare bilanci difficili avendo entrate risibili.

Noi riusciamo nonostante tutto a passare qualche bella serata con le amiche: un cinema, un aperitivo, una pizza. Ci divertiamo, ci distraiamo un po’, e poi torniamo a preoccuparci della fine del mese e della rata del mutuo.

Noi non usiamo la moda non per paura, ma perché non ce la possiamo permettere. Faccia una linea di capi da 50 €, e vedrà che glie li usiamo tutti.

Addio

Lavori in corso

Lo scivolo per i disabili e i trolley-muniti è chiuso per lavori, ma lei ci vuole passare lo stesso. Siamo nella galleria che porta fuori dal passante ferroviario, una striscia di plastica bianca e rossa chiude il passaggio ma la mamma, che è arrivata in bicicletta, passa sotto allo sbarramento e poi si volta.

Il bambino nel frattempo è sceso dalla bicicletta, se la è caricata in spalla e sta cominciando a salire le scale. Lei gli urla dietro, “Ma cosa faaaaaai!!!! Vieni qui no?”

“Ma mamma, lì è chiuso!”

Lei gli dà più o meno del cretino e gli ordina di seguirla su per il passaggio sbarrato. Dopo poco tornano indietro, lui che azzarda un timido “Te lo avevo detto che era chiuso”, e lei che ancora pretende di avere ragione perché “scrivono CHIUSO ma mica vuol dire che non si può passare”.

Io osservo il bambino, così serio e posato, timido, costretto a tentare invano di insegnare educazione e buon senso a sua madre, e mi si stringe il cuore.