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Amori Moderni

Due ragazze in metropolitana:

“(…) e allora gli ho detto che vado a Segrate a prendermi il biglietto e poi lo rivendo, perché con lui non ci voglio proprio andare!”

“Ma perché avete litigato?”

“Eh
Perché abbiamo litigato, abbiamo litigato perché…… boh vabbe’, comunque con lui non ci vado.”

Addio pràivasi bella

Qui giace l’ultimo patetico frammento della mia già scarsa privacy, ucciso da bitstrips e dalla spensierata sconsideratezza dell’utente medio dell’internezzz.

Una specie di follia collettiva ha contagiato quasi tutti i miei amici, che si sono messi a rappresentare se stessi in questi fumettini e a impestare coi fumettini medesimi le timeline proprie e altrui – e fin qui, niente di male.
Solo che un giorno nel fumettino di una mia amica sono comparsa anche io: col mio nome e cognome (quelli veri), aspetto e abbigliamento simili ai miei. A questo punto ero ancora tranquilla, poteva essere una comparsata e morta lì.

Invece nei giorni successivi quella tipa disegnata col mio nome e cognome ha cominciato a comparire nei fumetti di diversi altri amici, ciascuno dei quali mi faceva vestire come piace a lui, mi faceva dire quel che voleva lui, mi metteva in situazioni che piacciono a lui, e così via. Il tutto senza che io avessi mai anche solo aperto per curiosità l’app che fa i fumettini, e soprattutto senza che MAI avessi dato il permesso ad essere usata come burattino nelle storie degli altri.

La cosa ha cominciato a darmi parecchio fastidio, fastidio che si è trasformato in carogna quando mi sono trovata in un fumetto a dire stupidaggini che la vera me mai e poi mai si permetterebbe. A questo punto ho chiesto gentilmente a chi aveva creato il mio pupazzetto di eliminarlo, e qui è cominciata la parte più divertente: NON SI PUÒ.

Visto che a quel punto io ero piuttosto alterata, e l’amica che aveva creato il mio pupazzetto mortificata, diversi utenti di bitstrips amici miei hanno scritto ai fumettari medesimi chiedendo come fare per uccidere il mio stupido avatar: tutti hanno ricevuto lo stesso messaggio preconfezionato, che non rispondeva affatto alla loro domanda.

Si è scoperto che in teoria quando tizio A vuole creare il fumettino di tizio B, tizio B dovrebbe ricevere una richiesta di autorizzazione, ma né io né un’altra amica alla quale stava capitando la stessa mia sorte abbiamo mai ricevuto nemmeno un avviso, figuriamoci una richiesta di autorizzazione.
Si è scoperto che quando persone molto serie, coscienziose, colte, per bene e adulte leggono il messaggio “per continuare devi dare a bitstrips il permesso di prendersi tutte le info dei tuoi amici dalla tua rubrica” gioiosamente rispondono di sì, perché loro vogliono giocare e il giochino gli pare un compenso ragionevole per i dati privati di tutti i loro contatti.

Morale della favola:
– chiunque può dare il mio nome e le mie fattezze alle proprie smanie di fare il buffone o di dire e rappresentare delle schifezze, e io non mi posso opporre;
– chiunque, ad esempio, può mettermi accanto al fumettino di un mio amico gay e farmi dire “frocio di merda”, e io non mi posso opporre;
– mentre la mia bacheca di facebook è protetta da un ragionevole livello di riservatezza, quelle di molti miei contatti sono pubbliche, e loro ci possono pubblicare fumetti in cui una con la mia faccia, il mo nome e il mio cognome dice cose che io non condivido, e io non mi posso opporre;
– quando quei fumettini del cazzo vengono diffusi qua e là probabilmente molti pensano, visto che io sono la protagonista, che li abbia fatti e autorizzati io, che invece il più delle volte non li ho nemmeno visti – e io non mi posso opporre.

Sono veramente incazzata. È andata a finire che il mio pupazzetto, non potendo essere eliminato, è stato reso irriconoscibile da chi lo aveva disegnato (“adesso sei una specie di Balotelli”, pensa che fortuna), e io ho postato ovunque un fermo invito a non ficcarmi più in quei fumetti del cavolo.

Spero che prima o poi (più prima che poi, please) qualcuno esperto in materia di leggi sulla privacy faccia porre fine a questa porcata; until then, se il mio fumetto vi offende sappiate che NON SONO IO.

Immagine

Io

Io

Amen

In acido

Me lo ha fatto tornare in mente poco fa una mia amica, quando uscendo dal dentista ho messo come status “ho più anestesia che anima”, e lei ha commentato “ti ci vorrebbe una vodka”.

Perché lei c’era.

Quella volta di tanti anni fa che, dopo essere uscita dal dentista come oggi, sono andata con le mie amiche dell’uni a bere un aperitivo (o due) nel nostro locale preferito di allora, il bar peruviano con un paio di tavolini su un soppalco minuscolo in cima a una scala lunga lunga – e noi andavamo sempre lassù  perché c’era una bella vista su tanti bei giovani e assortiti etilismi.

Ho bevuto i soliti due black russian chiacchierando serenamente del più e del meno, e poi ci siamo ricordate che quella sera c’era il lavaggio della strada e quindi dovevamo andare a spostare le auto.
Sono arrivata senza problema all’imbocco della scala e lì mi sono fermata, un po’ perplessa.

Le amiche: che fai lì ferma?
Io: ma come si fa a scendere, con la scala che si muove?
Loro: non fare la scema.
Io: ma no, guardate, serpeggia!

Le amiche, pensando che volessi fare la spiritosa, mi sono passate davanti e sono scese dalla scala senza problemi. Visto che a loro non era successo niente le ho seguite, ma molto dubbiosa e ben abbarbicata al corrimano, mentre la scala continuava a serpeggiare morbidamente.

Non so come mai, ma non mi sono chiesta perché a nessuno sembrasse strano l’atteggiamento della scala – la quale serpeggiava senza alcun dubbio, si vedeva benissimo.

Una volta in strada, continuavo a passare a fianco dell’auto con cui ero arrivata ma non la riconoscevo, perché secondo me aveva cambiato colore – e un po’ anche la forma. Era più culona.

E poi ero nel mio letto, la mattina dopo. Di quel che c’è stato tra l’auto culona e il risveglio non ricordo NIENTE. Non ricordo come sono arrivata a casa, con chi, come ho trovato la chiave, come ho imbroccato l’appartamento giusto, come ho fatto a cambiarmi e a entrare nel letto. Non ricordo neanche se la scala di casa serpeggiava o no.

Non so se gli anestetici moderni siano gli stessi di allora, ma per sicurezza non ho mai più bevuto dopo esser stata martellata dal dentista. Credo di non essere molto portata per gli allucinogeni.

Voi non so, ma se mai vi capitasse di calarvene uno, diffidate delle scale.

Psicopatologie #1

Quelli che sei la mia vita.
Che dove diavolo sei stata in tutti questi anni.
Che ti amerò per sempre.
Che non so come ho fatto a vivere senza di te fino ad ora.
Che non posso credere che esista davvero una persona perfetta come te.
Che mi sono divertito così tanto, questa è la miglior serata della mia vita.
Che mi piace tutto di te, ogni piccola cosa.
Che adoro la tua risata, voglio essere quello che ti fa ridere.
Che quanto sei bella, oddio quanto sei bella.

E se non glie la molli entro la seconda uscita, felicemente si accontentano di un’altra.

Teppista

Ha al massimo 5 anni, i capelli biondissimi arruffati e un braccio rotto. Ma se ne frega, e si comporta da perfetto selvaggio: gioca a tirare sassi mentre corre sull’orlo della scarpata, si arrampica sul tetto per lanciare le pigne in testa ai suoi amici, impara a camminare sul filo teso tra due alberi (e siccome camminare non basta ci salta pure sopra), pretende di mangiare uova al tegamino e salsiccia per merenda.

La madre non esiste o è scappata, e come darle torto: il padre è peggio del figlio, saltella sul filo con lui e gli corre dietro ruggendo, mentre il piccolo teppista scappa e strilla, rintronando tutti gli alpinisti del rifugio (gente seria, gli alpinisti, molto molto molto seria).

Dopo la lunga salita-discesa-risalita per arrivare lì mi diverto a guardarlo, mentre lui fa il matto imperversando ovunque.

Dopo cena ricompare all’improvviso trasformato: il pigiamino azzurro, il pupazzo in braccio, perfino il ciuccio in bocca, mi guarda con gli occhioni azzurri, “Gute Nacht”.

Buona notte, teppista =)

Andando al seggio

Lei è la tipica portinaia da palazzo della vecchia Milano, bassa e grassottella, con il grembiule a fiori e la scopa di saggina, e sta spazzando energicamente il marciapiedi davanti al portone.

Lui è veramente un bel ragazzo, alto, biondo e con barbetta, bei vestiti ed evidentemente lavoratore, perché quando passa lì davanti la portinaia lo apostrofa “Allora, finita per oggi la mezza giornata?”

Lui risponde con una bellissima voce profonda (whoa, è proprio un fiquo questo ragazzo, e come mai non l’avevo mai incrociato prima?) “No, oggi la mezza giornata la faccio pomeridiana, adesso vado a votare”, e la portinaia “Ecco, bravo, bravo, devono andarci tutti!”

Così sono arrivata al seggio allegra e innamorata della mia città, delle sue portinaie simpatiche e di tutti i suoi abitanti.

E faccio notare che quelli veramente fiqui a votare ci vanno.

You’re the real niggers

Oggi pomeriggio ho fatto una bella passeggiata per il centro di Milano, e mi sono veramente avvilita. Avvilita e anche parecchio offesa.

Perché chiunque cerchi di guadagnare voti affiggendo cartelloni come questo

mi sta dicendo: “Tu, Milanese, sei una razzista inospitale egoista, e quindi voterai per noi, che invece di accogliere ed aiutare facciamo i pogrom, gli sgomberi, buttiamo la gente in strada, cacciamo i bambini dalle scuole; che invece di rispettare la libertà religiosa di tutti vogliamo fare i fondamentalisti cattolici a casa tua”.

A questi signori, così profondamente diversi dai Milanesi veri, che sono persone ospitali, riservate ma generose, gentili e tolleranti, vorrei ricordare che

“I nomadi qualche volta rubano, ma molto meno dei domiciliati a Montecarlo” (S. Benni).

E con molto piacere dedico loro questa canzone, della quale li invito a studiarsi il testo.

YOU’RE THE REAL NIGGERS!

Next door

  • Marito compra e installa acquario.
  • Conoscendo il soggetto, trattasi sicuramente di acquario da stramegamultimilardario con pesci esotici rarissimi e relitto di galeone spagnolo autentico del ‘600.
  • Marito parte per Dubai.
  • Moglie e Figlio se ne stracatafottono dell’acquario.
  • Il filtro s’intasa, l’acqua si sporca.
  • I pesci muoiono (per metà intossicati, per metà di fame).
  • Marito torna da Dubai.
  • Marito vede acquario distrutto con cadaveri di pesci galleggianti, e si altera lievissimamente.
  • Segue civile, pacato confronto.
  • Parola più usata da Marito: vaffanculo.
  • Parola più usata da Moglie: cazzo.
  • Concetto ripetutamente espresso da Marito: vaffanculo,siete due cerebrolesi, cosa ci vuole a star dietro a un acquario tutto automatico, vaffanculo?
  • Concetto ripetutamente espresso da Moglie e Figlio: cazzo, che cazzo vuoi, mica te l’abbiamo chiesto noi quel cazzo d’acquario, che cazzo pretendevi, che infilassimo le mani in quella cazzo di acqua sporca, cazzo?

Mentre tutto questo accade nell’appartamento accanto, io e Pino il tartarugo ninja, che da 27 anni vive nel suo acquario da poveraccio ma sempre tenuto pulito e nutrito e AMATO da me, ci sorridiamo e continuiamo a vivere felici.


Cruella vs. l’otite

Io sono una delle persone più sane dell’universo.

E come mai hai in circolo più nimesulide che sangue, mi chiederete?

Perché ho avuto dei brutti incidenti. Ma malattie, mai.

Quando il primo attacco di otite di tutta la vita mi ha colpita ieri, inizialmente ho aspettato di guarire, cosa che normalmente si verifica in 15-2o minuti. Invece l’orecchio ha continuato a dolere, sempre di più, per cui mi sono dovuta mettere alla ricerca di farmaci adatti.

Finalmente ho trovato la farmacia: due contenitori di plastica da gelato (gusti: vaniglia e stracciatella). Nel primo c’erano solo bende e cerotti, ça va sans dire. Nel secondo, finalmente, le medicine: la più recente era scaduta nel 2004. Allora ho preso una delle consuete droghe pesanti da dolore alle ossa, ci ho dormito su, e questa mattina mi sono messa in marcia verso la farmacia, portando diligentemente con me il sacchetto dei farmaci scaduti da buttare.

La strada era lunga e perigliosa, e dunque lungo il tragitto mi si sono misteriosamente impigliati nella carta di credito:

  • 2 paia di scarpe
  • 1 set di posate
  • 1 nuovo epilatore
  • 1 nuova ombrella leoparda (quella vecchia è stata uccisa ieri dal vento)
  • 1 libro di Barbapapà per Nipote

Finalmente giunta in farmacia, la dottoressa mi ha appioppato le gocce per l’orecchio.

Dopo attento studio del bugiardino sorge il primo, gravissimo dubbio: ma come si fa a contare le gocce che scendono nell’orecchio? Io mica me lo vedo, l’orecchio.

Soluzione: le gocce che scendono nell’orecchio si sentono. Moltissimo. Fanno un odioso, inquietante “splòccc” e poi ti riempiono l’orecchio di liquido come quando sbagli a lavarti i capelli.

Seconda scoperta: ho le orecchie piccoline come quelle dei bimbi, perché la dose da grande non ci sta, trabocca all’esterno, untuosa e schifosa.

Ma soprattutto, ho scoperto il fattore di successo di questo miracoloso farmaco: è talmente fastidioso che alla seconda somministrazione i bimbi urlano “Nooooo mamma, sono guarito, non mi fa più male, non mettermene più”.