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Stress da frattura

E’ sabato mattina, e sto facendo colazione.

Indosso un paio di jeans troppo larghi, che mai metterei per uscire, e una felpa gigantesca che addosso a me sembra una coperta.

Intorno a me, un disastro: la casa è disordinata, ci sono vestiti appoggiati agli schienali delle sedie, il piano della cucina è pieno di cibi e utensili ammonticchiati.

Ma chi è questa che abita in casa mia? Io non sono così! Io sono tutta precisina pulitina ordinatina, la mia casa è stata sempre ragionevolmente presentabile, ma soprattutto io sono una donna-con-la-gonna: mai insaccata in vestiti orrendi, mai in tuta, mai in pigiama, mai in ciabatte, nemmeno quando sono in casa da sola, semplicemente perché sono abituata a piacermi.

Per giunta sto per ricevere una visita, da parte di qualcuno a cui vorrei presentarmi al meglio, eppure non ce la faccio: i tacchi sono vietati fino a nuovo ordine, non posso mettere cibi e utensili sugli scaffali né appendere i vestiti nell’armadio perché non posso alzare le braccia, non posso spostare le riviste dal pavimento perché non riesco a chinarmi, e di lavarlo, il pavimento, non se ne parla proprio.

Ancora per due settimane, secondo il medico. Due settimane durante le quali vivrò in questo stato abietto sentendomi estranea a me stessa.

Le fratture da stress sono niente, rispetto allo stress da frattura.

Fermarsi, arrendersi

Fermarsi, arrendersi, lasciarsi portare via.
La settimana intensa, la giornata lavorativa di venerdì che termina dopo la mezzanotte.
La sveglia al mattino presto, la valigia, la corsa in stazione, il viaggio.
Il ritorno in una casa da riordinare, la spesa da fare, la lavatrice da far partire, l’acquario da pulire, la tartaruga affamata e seccata per l’assenza.
Cucinare, pranzare, piegare i vestiti lavati, e un’improvvisa stanchezza che arriva a tradimento, di colpo, e sega le gambe.
Vado a letto, mi arrendo. Ed è un continuo scivolare dentro e fuori dal sonno, dal sogno forse, quasi un sonno di febbre, di quelli che non sai che giorno è, che ora è, se hai cose da fare, se c’è qualcuno con te.
Boccheggi per pochi minuti in superficie, poi sprofondi ancora.
Un pomeriggio così, una notte così, a perdersi, lasciarsi andare, lasciarsi affogare. E oggi sto bene.


Una donna calda

Una donna calda, sono così
Come si usa dire, sono così

C’è chi ha tutte le fortune. Io, invece, sono una donna da scaldare.
Mi piace vestirmi poco, mangiare il gelato d’inverno, stare in casa a piedi nudi.
Sono dunque piena di gratitudine per i collaudatori della caldaia, che questa sera mi hanno fatto trovare la casa calda.
Invece di restare stecchita dal freddo appena tolto il soprabito, mi sono ritrovata avvolta da un tepore dolce, bello come se a casa ci fosse qualcuno ad aspettarmi.
È durato poco, sono già sepolta nella tuta di ciniglia, ma domani si accendono i riscaldamenti, e la vita mi sorride.

Tornando a casa #1

Il gatto si lamenta, non vuole viaggiare sulla metropolitana. O forse non gradisce che la signora accanto a lui legga un articolo sui cani.

L’articolo si intitola “Il nuovo Fido”; perché anche i cani, si sa, non sono più quelli di una volta.

Il giovane modaiolo in nero elegante e sopracciglia scolpite porta uno strepitoso paio di occhiali neri, nel tunnel, mentre fuori è buio.

Il titolare dell’autoscuola, come ogni sera, siede al tavolino del bar e si beve tutta la bottiglia di bianco, da solo.

E io avviandomi stanca verso casa barcollo per un’improvvisa vertigine. Passare per ubriaca proprio oggi che non ho bevuto, ecco, è da me.

Il focolare di un amico

Ma c'è un luogo in cui possiamo sempre trovare qualcosa di autentico: il focolare di un amico, dove poter condividere le nostre piccole preoccupazioni, trovare calore e comprensione, dove i meschini egoismi sono inconcepibili e dove libri, vino e chiacchiere danno un significato diverso all'esistenza. Allora sappiamo di aver conquistato qualcosa che nessuna falsità può corrompere e ci sentiamo a casa.

 Kathrine Kressmann Taylor


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