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Rehab 2 – primo giorno

In cui si scopre:

– che la colpa di tutto non è della spalla rotta ma di Quella Sana, “almeno dal punto di vista elettrico”. Ah ecco.
– che Quella Sana si rifiuta di ubbidire agli ordini, mentre Quella Rotta esegue tutti gli esercizi alla perfezione. Poi per il dolore mi cade il braccio, ma vabbe’, staremo mica a guardare il capello.
– di possedere un sacco di muscoli di cui non si era MAI sospettata l’esistenza. E fanno tutti male.
– che le contratture della mia zona cervico-dorsale sono “estremamente convinte”. Grazie ragazze, avete fatto la vostra bella figura, adesso potete cortesemente levarvi dai piedi, sì?
– che lo stretching può somigliare moltissimo al paradiso.
– ma la tecar terapia di più.
La scoperta che ancora rimane da fare è se dopo una giornata così si è in grado di alzarsi dal letto il mattino successivo.
Ne dubito.
Buonanotte.

Che strano, che bello, che fatica.

Che giornata assurda, questa…

Al mattino, il caos, i mobili da spostare, i traslochi, noi confusi, soli, le tante domande a cui non sappiamo rispondere,  nessuno a cui rivolgerci per capire come andare avanti.

Il pomeriggio un funerale tragico, una morte assurda, inaccettabile, l’amico distrutto, lo stordimento che rende incapaci di formulare pensieri, di trovare parole.

La sera il regalo meraviglioso di un lavoro recitato splendidamente, un piccolo gruppo di amici, un ambiente accogliente, rivedere persone, godere di nuovo il potere della parola che sembrava impossibile da ritrovare fino a due ore prima, farsi coraggio insieme.

Che strano, che bello, che fatica.

Cruella vs. l’otite

Io sono una delle persone più sane dell’universo.

E come mai hai in circolo più nimesulide che sangue, mi chiederete?

Perché ho avuto dei brutti incidenti. Ma malattie, mai.

Quando il primo attacco di otite di tutta la vita mi ha colpita ieri, inizialmente ho aspettato di guarire, cosa che normalmente si verifica in 15-2o minuti. Invece l’orecchio ha continuato a dolere, sempre di più, per cui mi sono dovuta mettere alla ricerca di farmaci adatti.

Finalmente ho trovato la farmacia: due contenitori di plastica da gelato (gusti: vaniglia e stracciatella). Nel primo c’erano solo bende e cerotti, ça va sans dire. Nel secondo, finalmente, le medicine: la più recente era scaduta nel 2004. Allora ho preso una delle consuete droghe pesanti da dolore alle ossa, ci ho dormito su, e questa mattina mi sono messa in marcia verso la farmacia, portando diligentemente con me il sacchetto dei farmaci scaduti da buttare.

La strada era lunga e perigliosa, e dunque lungo il tragitto mi si sono misteriosamente impigliati nella carta di credito:

  • 2 paia di scarpe
  • 1 set di posate
  • 1 nuovo epilatore
  • 1 nuova ombrella leoparda (quella vecchia è stata uccisa ieri dal vento)
  • 1 libro di Barbapapà per Nipote

Finalmente giunta in farmacia, la dottoressa mi ha appioppato le gocce per l’orecchio.

Dopo attento studio del bugiardino sorge il primo, gravissimo dubbio: ma come si fa a contare le gocce che scendono nell’orecchio? Io mica me lo vedo, l’orecchio.

Soluzione: le gocce che scendono nell’orecchio si sentono. Moltissimo. Fanno un odioso, inquietante “splòccc” e poi ti riempiono l’orecchio di liquido come quando sbagli a lavarti i capelli.

Seconda scoperta: ho le orecchie piccoline come quelle dei bimbi, perché la dose da grande non ci sta, trabocca all’esterno, untuosa e schifosa.

Ma soprattutto, ho scoperto il fattore di successo di questo miracoloso farmaco: è talmente fastidioso che alla seconda somministrazione i bimbi urlano “Nooooo mamma, sono guarito, non mi fa più male, non mettermene più”.


Sound of a breaking heart

When you drop a glass or a plate to the ground it makes a loud crashing sound.

When a window shatters, a table leg breaks, or a picture falls off the wall, it makes a noise.

But as for your heart, when that breaks, it’s completely silent. You would think as it’s so important it would make the loudest noise in the whole world or even have some sort of ceremonious sound like the gong of a cymbal or the ringing of a bell.

But it’s silent, and you almost wish there was a sound to distract you from the pain.

Cecelia Ahern

Ascoltami

“Accidenti, che brutto tempo oggi. Copriti bene, farà freddo. E poi piove forte, metti un paio di scarpe adatte”.

“OK, così va bene, si può uscire. Certo che non è tanto tardi: era proprio necessario saltare anche oggi la colazione? Ti vuoi mettere in testa che il cappuccino della macchinetta in ufficio NON è cibo? Anzi, probabilmente non è neanche commestibile”.

“E adesso, cosa sono tutti questi fascicoli che hai preso? Ti sembra normale andare in giro con due borse pesanti e l’ombrello? Sei tutta sbilanciata, fai attenzione”.

“Mamma mia, quanta pioggia, la stazione della metropolitana è allagata. Vai piano, fai attenzione. Togliti dalla testa che devi arrivare in ufficio presto, alla peggio ti spetteranno per qualche minuto. Rallenta, si scivola, stai attenta alle scale! RALLENTA!!!”

Caduta, crack.

Costola rotta, così il mio corpo continua a parlarmi. Ha ragione lui.

Libero chi?

Naturalmente ci rendiamo tutti conto che questo ragazzo non è un criminale incallito che passa il tempo libero a progettare omicidi, bensì un idiota dotato di pessime maniere, che per un momento di nervosismo violento e inconsulto ha buttato la propria vita (e quella di parecchie altre persone) nel cesso.
Tuttavia vorrei proprio sapere quanto piacerebbe, ai suoi amici, vedere andare libero per strada uno che avesse ucciso a cazzotti la loro mamma, sorella, fidanzata. Io sono più propensa a credere che diventerebbero forcaioli assetati di sangue e vendetta nel giro di un minuto.
L’unica cosa ragionevole, adesso, è che questo ragazzo, a prescindere da come andranno le sue vicende giudiziarie, passi a vita a farsi rodere l’anima ogni giorno da un rimorso doloroso e infinito. E che i suoi lo amici gli diano conforto per questo, se amici sono.

Disperazione quieta

Mattina presto, un reparto di oncologia.

Attraverso la sala d'aspetto, il corridoio con le poche sedie, su cui riposare un po' dopo essere usciti dalle stanze dei degenti.
I pazienti sono pazienti anche di fatto, spesso ormai sereni; oppure combattivi. I loro parenti, no.
Chissà da quanto tempo vengono qui ogni giorno, senza più la speranza di una buona notizia, eppure mai pronti a ricevere la notizia cattiva.
Si portano addosso un dolore consumato, stanco. Una disperazione quieta, eppure così grande, tanto grande che dovrebbe urlare, urlare!
E invece si accasciano su quelle seggioline, sfiniti. E aspettano.

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